Il paradigma olistico e le sue applicazioni pratiche

Gestalt significa forma

La nascita della psicologia della Gestalt ha rappresentato un momento fortemente innovativo per lo studio dello sviluppo e dell’adattamento umani. Fino agli inizi del Novecento, la psicologia comportamentista e la psicoanalisi avevano aderito al modello meccanicistico allora dominante, cercando di indagare i fenomeni dell’adattamento umano come il risultato della combinazione di specifici elementi sottoposti a determinate leggi. Il tentativo fu quello di analizzare i singoli elementi (istinti e pulsioni per la psicoanalisi e le catene associative comportamentali sulla base del meccanismo stimolo/risposta per i comportamentisti) per spiegare il comportamento complesso.

Questo metodo di indagine diede buoni frutti nel campo dell’apprendimento ma si rivelò insufficiente a spiegare i complessi fenomeni della percezione, del linguaggio e soprattutto della creatività umana. Intorno agli anni Venti, in psicologia venne affermandosi un nuovo paradigma ad opera di un gruppo di psicologi che intesero studiare i suddetti fenomeni da un altro punto di vista: quello olistico.

Il modello olistico non appartiene soltanto alla psicologia: è infatti universale, nel senso che può essere utilizzato in qualunque disciplina. Il concetto fondamentale è che qualunque fenomeno va sempre osservato nella sua totalità. In Psicologia, i precursori di questa corrente furono gli psicologi della Gestalt, temine tedesco che in italiano viene tradotto con forma.

Gli psicologi della Gestalt, Maw Wertheimer, Kurt Koffka e Wolfang Kholer, si interessarono particolarmente ai rapporti dell’organismo con l’ambiente e studiarono per mezzo di complessi esperimenti di laboratorio sopratutto i fenomeni della percezione. Essi dimostrarono la parzialità di un approccio sperimentale che nello studiare il comportamento umano non tenesse conto simultaneamente dei livelli mentale, fisico ed emotivo in interazione dinamica con l’ambiente. Per i Gestaltisti, infatti, ogni fenomeno va sempre osservato nella sua totalità. Ogni tentativo di spiegazione che non tenga conto di questa complessità di interazioni non può che portare a conclusioni parziali ed inesatte.

Principi e leggi della Psicologia della Gestalt

Il primo studio ufficiale porta la firma congiunta di Max Wertheimer , Kurt Koffka e Wolfang Kohler. Gli psicologi gestaltisti indagarono essenzialmente i meccanismi fisiologici e psicologici della percezione come pure i rapporti dell’organismo con l’ambiente. Per essi le dinamiche di comportamento si sviluppano all’interno di un campo di forze interagenti, che il soggetto percipiente organizza in uno sfondo e in una figura.

La dimostrazione dell’esistenza di fenomeni di campo è molto importante perché consente l’introduzione del concetto di interdipendenza, vale a dire l’importanza di considerare ogni elemento non tanto singolarmente ma nei suoi rapporti  di specificità con gli altri elementi del campo.

A tal proposito, gli psicologi della Gestalt coniarono la formula: il tutto è più della somma delle singole parti. Essi fecero l’esempio delle note musicali: come le singole note combinate in odi diversi danno vita a diverse melodie, così gli uomini in contesti diversi suonano diverse musiche.

Come si comporta l’essere umano all’interno degli specifici contesti di appartenenza? Il soggetto tende ad isolare dallo sfondo delle buone forme, a far emergere cioè dallo sfondo ciò che per lui riveste significato, regolando in questo modo la relazione con l’ambiente. Lungi dall’agire in maniera riflessa, l’uomo è dunque al contrario molto attivo soggettivamente, selezionando, categorizzando e scegliendo per sé il meglio.

Il soggetto tende ad isolare delle buone forme che regolano le relazioni fra organismo e ambiente sulla base di motivazioni significative per lui. Ad esempio, un uomo assetato tenderà ad isolare una fontana tra una serie di altri stimoli, anche ridondanti e un uomo affamato tenderà a individuare del cibo anche tra altri stimoli confusivi.

L’organizzazione del campo percettivo in figura/sfondo venne introdotta da Rubin, che mise in risalto come la figura emergente suole essere contraddistinta da contorni definiti e, rappresenta il focus dell’attenzione. Lo sfondo al contrario rappresenta il resto del campo visivo ed è caricato da attributi inversi a quelli menzionati per la figura emergente.

A Rubin non sfugge come la percezione sia strutturata sulla base di motivazioni affettive e sulla base di tratti e disposizioni caratteriali. Ricompense e punizioni, il valore individuale degli oggetti, le differenze di personalità, bisogni organici, motivazioni, stati emotivi, condizionano fortemente il processo percettivo.

La tendenza nel processo di adattamento, per l’essere umano, è quella di privilegiare l’uno o l’altro elemento come focus della percezione. Inoltre, la percezione è un atto che avviene nel rispetto di numerosi fattori innati definiti le leggi di segmentazione del campo visivo.

Secondo Wertheimer, i principali fattori innati di unificazione e organizzazione di campo percettivo sono:

  • vicinanza:

a parità di condizioni, le parti più vicine di un insieme percettivo si organizzano nella formazione di un margine dando luogo a delle unità figurali.

  • somiglianza:

quando la situazione stimolante è costituita da un insieme di elementi fra loro diversi si manifesta, a parità di altre condizioni, la tendenza al costituirsi di unità percettive fra elementi che siano simili in qualche loro aspetto.

  • chiusura:

le regioni che sono delimitate da margini chiusi tendono ad essere percepite come figure più facilmente di quelle con contorni aperti od incompleti.

  • continuità di direzione:

a parità di altre condizioni si impone quell’unità percettiva il cui margine offre il minor numero di cambiamenti od interruzioni.

  • buona Gestalt:

è quel fattore per cui il campo percettivo si segmenta in modo che ne risultino unità ed oggetti percettivi per quanto possibile equilibrati, armonici, costituiti secondo un medesimo principio in tutte le loro parti che si appartengono, che si richiedono reciprocamente, che stanno bene insieme.

  • esperienza passata:

l’esperienza passata condiziona la formazione di oggetti che  abbiamo già visto, piuttosto che di forme sconosciute o poco familiari.

La posizione degli psicologi della Gestalt per quanto riguarda la percezione è, in senso olistico, ancora più radicale:

  • sottolineano l’isomorfismo (identità strutturale) tra il dominio fisico e quello psichico che obbediscono a leggi analoghe. Ad esempio, siamo in grado di definire un albero come un salice piangente proprio perché quella struttura è isomorfa con la nostra psiche.
  • si oppongono al dualismo tra spirito e materia: io non ho le braccia, ma sono le mie braccia, non ho una forma ma sono una forma specifica, strutturata e significativa.
  • sottolineano gli aspetti di autoregolazione dell’organismo umano, fondati sulla ricerca attiva.

Gli studi svolti in epoche successive, basati sulla osservazione del comportamento neonatale, confermano in pieno che il bambino è già capace fin dall’inizio di stabilire con la madre una interazione attiva basata su comportamenti di ricerca di attenzione che attivano la risposta della madre.

In una dinamica interattiva sana l’organismo biologicamente predisposto, sia esso un adulto o un bambino ancora in fasce, è capace di soddisfare i propri bisogni fisici, emotivi e mentali e di pervenire ad uno stato di soddisfazione completo.

Dopo aver soddisfatto il proprio bisogno, l’organismo si rende disponibile per un bisogno successivo. Questa capacità autoregolante dell’organismo caratterizza lo stato di salute.

La fluidità di questo processo definisce lo stato di salute di una persona, nel senso che la persona sana è capace di agire per soddisfare questi bisogni e di farlo con una certa continuità spazio-temporale.

Bluma Zeigarnik

Molto spesso l’azione è inibita o interrotta del tutto e il soggetto non può soddisfare il proprio bisogno. In questo caso, il processo di formazione figura e sfondo è incompiuto e la persona si trova in condizioni di squilibrio. L’organismo perde la sua omeostasi di base.

Bluma Zeigarnik, la psicologa della Gestalt che più di tutti ha indagato gli effetti dell’interruzione dell’azione, è giunta alla conclusione che la pressione fisica causata da un lavoro interrotto comporta una massiccia pregnanza della preoccupazione in corso.

Quando un compito viene interrotto si determina una pressione o forza, una tendenza a chiudere la Gestalt incompiuta.

In particolare:

  • una situazione inconclusa polarizza una carica di energia destinata a completarla rendendo la stessa energia indisponibile per altri tipi di esperienza.
  • il mancato completamento della situazione comporta un ripetitivo ripresentarsi della situazione stessa fino a inibire nuovi eventuali sviluppi situazionali.

Queste ricerche, che dimostrano come la percezione, lungi dall’essere un atto puro è in realtà molto condizionato, hanno implicazioni importanti in campo clinico ed esistenziale.

In senso esistenziale potremmo chiederci:

  • se la percezione è un atto così condizionato da fattori esterni ed interni alla persona, che cos’è l’autenticità e quali sono i margini di libertà che abbiamo per interagire con gli altri in maniera autentica?
  • quanto siamo davvero liberi?
  • quanto possiamo aspirare a diventare liberi?
  • come fare per essere il più liberi possibile?

 

Fritz Perls

Sulla base di questi studi, un geniale quanto controverso psichiatra ha elaborato un metodo di intervento pratico conosciuto oggi in tutto il mondo come Terapia della Gestalt. Prima di proseguire con i principi teorici che sono alla base di questo sistema sarà meglio parlare della vita del suo fondatore, in quanto il metodo è indissolubilmente legato alla sua vita e al suo carattere particolare

La psicoterapia della gestalt nasce negli anni Quaranta del Novecento ad opera dello psichiatra tedesco Fritz Perls. Il metodo che egli ideò è il prodotto della sua eclettica e geniale personalità, del suo interesse per le ricerche degli psicologici della Gestalt e della sua passione per la filosofia umanistica e per l’arte.

Perls nasce nel 1893 a Berlino. Ultimo di tre figli, suo padre è un commerciante di vini, violento, collerico ed infedele cronico, spesso in viaggio e assente psicologicamente La madre è un ebrea tradizionalista, amante dell’arte e del teatro, passione che trasmetterà a Fritz. La sorella maggiore Elsa è quasi cieca e pertanto iperprotetta dalla madre. La seconda sorella, “un maschio mancato”, rimarrà legata a Fritz per tutta la vita.

Il clima familiare è violento e Fritz svilupperà un odio sempre più profondo per il padre,   tanto che si rifiuterà di andare al suo funerale. All’età di tredici anni è espulso da tutte le scuole e il padre lo manda a lavorare in una pasticceria. Dopo un anno, lui stesso si iscrive in  una scuola speciale, molto più tollerante, dove sviluppa la passione per il teatro che non lo abbandonerà per tutta la vita. Nel 1929 si laurea in medicina e diventa neuropsichiatra. Di fatto il suo interesse principale resta il teatro, in particolare quello di Max Reinhardt.

Reinhardt insegnava ai suoi attori il metodo dell’identificazione totale con il personaggio, l’arte di ascoltare con tutti i sensi, con la bocca, gli occhi, il naso e persino la pelle. Comprendeva bene l’importanza del ritmo, delle tensioni e del silenzio, tanto che la prosa si trasformava in musica. Reinhardt mostrava a ogni attore come interpretare i personaggi usando la loro specificità individuale. Prendeva il potenziale dell’attore e lo aiutava a vederlo. Un miracolo di fiducia nelle capacità dell’uomo.

Perls frequenta regolarmente i caffè letterari di Berlino ed è qui che incontra Friedlander, filosofo importantissimo nella sua formazione. Friedlander sviluppa il concetto di pensiero differenziale indicando con questo termine un pensiero non lineare (causa-effetto) che tiene conto dell’esistenza degli opposti da una posizione di neutralità e della necessità di guardare ai fenomeni da un punto zero. Secondo il filosofo, evitando una visione unilaterale acquisiamo una capacità di comprensione molto più profonda.

Per Claudio Naranjo, noto successore di Perls nella guida del movimento della psicoterapia della Gestalt dopo la sua morte, il concetto di coscienza indifferenziata si avvicina al concetto di vuoto del buddismo mahayana. Il centro coscienziale coincide con l’individualità profonda, con la libertà e la volontà trascendente.

A trentadue anni Fritz continua ad abitare con la madre: è sporco, trasandato, si definisce abbrutito dalla masturbazione. A causa delle ferite di guerra si sente abulico e depresso. Teme per la sua fertilità.

È in questo periodo che incontra Lucy, una donna conosciuta in una corsia di ospedale, con la quale sperimenta ogni forma di sessualità. La relazione dura qualche mese, nel frattempo Fritz decide di rivolgersi ad una psicoanalista. Sceglie Karen Horney, che gli resterà amica per tutta la vita.

La Horney lo invita a distaccarsi da Lucy e a recarsi a Francoforte presso Gooldstein, psicologo della Gestalt che lavora sui disturbi della percezione con i cerebrolesi e lì incontra Laura Posner, che diventerà sua moglie.

A Francoforte segue una seconda analisi con Clara Happel che dopo appena un anno, inopinatamente, dichiara chiusa l’analisi. Fritz si reca allora a Vienna e comincia a lavorare come psicoanalista sotto la supervisione di Helene Deutsch.

Dopo un anno però torna a Berlino e riprende un ciclo di analisi con Eugen Harnick, psicoanalista ortodosso, innamorato della neutralità, che “per diciotto mesi, cinque volte alla settimana, mi vede senza analizzarmi”.

Nel 1930, dietro consiglio della Horney, intraprende una analisi con Wilhelm Reich.  E così finalmente si sente compreso e ritrova la sua energia vitale. Nel 1931 nasce il primo figlio di Perls, una bambina e dopo quattro anni nascerà il figlio .maschio.

Nel 1933 fugge in Sudafrica a causa delle persecuzioni naziste contro gli ebrei. In Sudafrica fonda l’Istituto di Psicoanalisi e diventa presto molto ricco. In seguito dirà di questo periodo: “ero diventato un freddo calcolatore come la maggior parte degli analisti di mia conoscenza”.

Nel 1936 si reca al congresso internazionale di psicoanalisi a Praga. Ha elaborato una relazione sui primi conflitti orali a cui viene dedicata scarsa attenzione. Freud lo riceve solo per pochi minuti e Reich non si ricorda di lui. E’ molto deluso. Tuttavia, continua ad elaborare i suoi concetti e nel 1940 pubblica il primo libro:  Ego Hunger and Aggression.

In questo primo libro già troviamo in nuce i temi classici della psicoterapia della Gestalt:

  • l’importanza del momento presente, quella del corpo,
  • la ricerca di un approccio più sintetico che analitico,
  • la contestazione della nevrosi di transfert,
  • l’importanza di sostenere un contatto autentico e diretto con il cliente,
  • l’esposizione delle tecniche di concentrazione e di visualizzazione,
  • il principio di responsabilità,
  • l’individuazione dei  meccanismi di interruzione dell’organismo al contatto pieno.

Nel 1942 scoppia la Seconda guerra mondiale e Fritz si arruola nuovamente. Le occasioni di infedeltà si moltiplicano ed egli progressivamente si distacca dalla famiglia fino ad allontanarsene del tutto nel 1946. Perls si reca a New York, dove prosegue la sua carriera di analista fino al 1951, anno in cui esce Terapia della Gestalt. Egli si va interessando sempre di più alla terapia di gruppo e frequenta sempre di più gli ambienti anarchici e bohemienne della città.

In questo periodo incontra Paul Goodman, poeta e scrittore anarchico che diventerà successivamente uno dei pensatori del gruppo dei sette che comprenderà Fritz, Laura Goodman, Isadore Fromm, Paul Wiesz, Elliot Shapiro e Sylvester Eastman.

Nel 1956, dopo la rottura con il gruppo dei sette, si rifugia in California. Stanco e depresso, ha quasi abbandonato la professione. Incontra Marty, una donna di trentasette anni, sua paziente per un disturbo sessuale, che lui seduce e coinvolge in esperienze sessuali audaci e senza limiti. Sembra riprendersi in questo periodo, ma purtroppo Marty, ossessionata dalla sua gelosia, lo lascia per uno più giovane e Fritz ricomincia a vagare per l’America. È il periodo delle droghe psichedeliche, che Fritz prende con una certa costanza.

Nel 1960 si reca in Israele, dove vive semplicemente dipingendo, e poi ancora in Giappone, a vivere in un monastero Zen per dieci mesi.

Nel dicembre del 1963, Perls incontra Michael Murphy che lo invita a Big Sur, in una splendida residenza sita fra colline e acque termali soprannominata Esalen, a tenere una serie di conferenze sulla terapia della Gestalt. È l’inizio della fama. Fritz si stabilizza lì e anno dopo anno sistematizza la sua teoria, incontrando un numero di persone sempre più grande.

Nel 1968 conquista la copertina di Times. Perls filma le sessioni di lavoro e incontra esperti da tutto il mondo. Intorno a lui si raccolgono numerosi terapeuti. Qualcuno dice che vuole rimanere solo e incontrastato: fatto sta, che ancora una volta si trasferisce, questa volta in Canada, nell’isola di Vancouver, dove impone una regola ferrea: niente bambini.

Finalmente vive secondo le sue regole, facendo vita comunitaria con le altre trenta persone che lo hanno seguito. Dichiara: “finalmente sono in pace per la prima volta nella vita e non ho bisogno di battermi contro gli altri”.

Il 14 marzo del 1970, di ritorno da una serie di viaggi in Europa, colpito da infarto cardiaco, viene ricoverato in ospedale a Chicago, dove si era recato per una dimostrazione e dopo una settimana muore. Le sue ultime parole furono: “non dirmi cosa devo fare” (rivolto ad una infermiera che gli ordinava di restare a letto).

Struttura della realtà

Gli sperimentatori sono giunti alla conclusione che la tendenza a percepire il mondo rigidamente strutturato o, al contrario, in maniera flessibile, caratterizza il grado di nevroticità di una persona.

Il grado di nevroticità di una persona è dunque indicatore di mancanza di libertà e ovviamente anche il grado di mancanza di libertà è un importante indicatore che ci segnala il livello di sofferenza nevrotica nella quale si trova la persona.

Sappiamo che persone rigide tendono ad escludere dal campo percettivo elementi di disturbo per collocarli nello sfondo. Questa operazione richiede energia per poter essere svolta. Energia che resta bloccata da qualche parte. Le persone rigide, infatti, mancano della necessaria libertà di movimento che caratterizza lo stato di salute psicofisica.

In terapia, il problema per un gestaltista diviene allora:

a) individuare gli schemi di azione rigidi e inadeguati all’adattamento flessibile,

b) aiutare le persone a ripristinare la flessibilità emotiva, cognitiva e comportamentale.

Per gli psicoterapeuti della gestalt, gli obiettivi terapeutici sono quelli di mantenere o ripristinare la capacità di soddisfacimento dei bisogni in individui che difettano di tale capacità. La metodologia utilizzata è l’applicazione di tecniche specifiche da utilizzare specificamente all’interno del campo che il cliente crea con il suo atteggiamento nel qui e ora della sua vita.

Anche per Perls la situazione incompiuta è fonte di disadattamento nevrotico. La maggior parte della sofferenza deriverebbe dal tentativo reiterato nel presente di chiudere situazioni incompiute del passato. Si tratta dunque di una impossibilità a lasciar andare vecchi schemi di comportamento disfunzionale perché non si è soddisfatto il proprio bisogno.

La persona che non fluisce, perché prigioniera di una gestalt incompiuta, opera attivamente per interrompere il contatto con l’ambiente. Utilizza delle strategie note come meccanismi di interruzione al contatto per rimanere fissata alla gestalt incompiuta. Questo significa che impiega una forza nel presente e, dunque, mantiene energia bloccata che altrimenti potrebbe essere impiegata in altro modo.

Facciamo qualche esempio estremo di gestalt incompiute a livello esistenziale, tanto per capirci meglio.

Mio padre era autoritario, incapace di affetto e spesso assente. Io mi sono sentito abbandonato ed incompreso. La relazione nel tempo è divenuta rancorosa, è degenerata ed oggi non ho una buona relazione con lui.

Non abbiamo saputo reagire in alcun modo utile a ripristinare la relazione e, dunque, non c’è stata nessuna riconciliazione. Non sono intervenute spiegazioni e chiarimenti, né scuse, né c’è stato perdono. Sono rimasto bloccato nella rimurginazione, nel desiderio di rivalsa e di vendetta e, ancora oggi, provo un sentimento di avversione nei suoi confronti a causa del quale mi distacco, anche fisicamente da lui. Preferisco non incontralo affatto.

Questo mi da, nel contingente, il vantaggio di evitare una grossa lite, ma sui lunghi tempi continuo a sentirmi affettivamente deprivato. Dal punto di vista gestaltico possiamo dire che in figura appare l’ostilità e sullo sfondo resta il bisogno di amore non soddisfatto.

In termini comportamentali devo fare alcune cose per mantenere in essere questa situazione. Ad esempio evitare di sorridere in sua presenza o di guardarlo, anche quelle poche volte che vorrei farlo. Nella maggior parte dei casi, dovrò reprimere dentro di me la rabbia che provo nei suoi confronti, magari accorciando la respirazione per controllare le emozioni distruttive, mordendomi le labbra o stringendo i pugni.

In questa condizione è facile capire come ci possa essere della sofferenza che infine, non è tanto legata a quello che successe allora, quanto alla necessità di mantenere un controllo rigido su sentimenti del passato che si riattualizzano nel qui e ora.

La sofferenza, non è soltanto legata ai contenuti, ma soprattutto, alle difese psicologiche e ai meccanismi comportamentali di interruzione al contatto che metto in atto oggi.

Tralasciando ogni dietrologia, Perls elaborò un metodo con il quale si proponeva di aiutare le persone bloccate in schemi di azione inadeguati a chiudere nel qui e ora le loro gestalt incompiute per addivenire a nuove configurazioni più salutari.

Attraverso l’osservazione fenomenologica delle dinamiche relazionali e, grazie al suo spiccato intuito, egli individuava i bisogni non soddisfatti presenti sullo sfondo e i meccanismi di interruzione al contatto che la persona utilizzava per evitare il conflitto e si serviva di alcune tecniche di derivazione teatrale per aiutare le persone ad entrare in contatto con i loro conflitti emotivi profondi e risolverli attraverso azioni significative nel presente della relazione drammatizzata.

La tecnica più famosa è quella della sedia vuota. Spesso Perls invitava le persone con cui stava lavorando a esprimere i propri sentimenti segreti ad una sedia vuota. Egli chiedeva alle persone di liberarsi del conflitto immaginando che su quella sedia ci fossero le persone a cui sentimenti non erano stati confessati in passato.

Durante il lavoro spesso confrontava duramente i meccanismi di interruzione al contatto, evitando di lasciare così spazio ad ambiguità o indecisioni di sorta. Da questo punto di vista possiamo dire che la sua pratica era piuttosto diretta, specifica e concreta.

In seguito egli cominciò ad usare due sedie per lavorare conflitti intrapsichici, interni alla persona all’esterno della persona. La persona che stava lavorando era incoraggiata a porre sulle sedie le parti interne della sua mente che stavano tra di loro in conflitto.

Per esempio, era incoraggiata a far vivere all’esterno la sua parte normativa e punitiva  (il cane di sopra, come lo chiamava in gergo Perls) con la sua parte più istintiva e libera cercando un dialogo tra le parti ed una possibile soluzione positiva al conflitto stesso. Spesso la persona, lavorando in questo modo, riesce ad accordarsi con se stessa e a pervenire ad una integrazione riequilibrante.

Io credo però che il salto di qualità in terapia è rappresentato dal lavoro di gruppo. In questo ambito è infatti possibile verificare quanto il campo ristrutturato accetta o rifiuta il cambiamento del singolo.

E’ noto che la terapia di gruppo era già utilizzata agli inizi del Novecento e che molti psicoanalisti la ritenevano già prima di Perls un valido strumento terapeutico. Tuttavia il modo in cui Perls utilizza il gruppo evitando le interpretazioni, i dietrologismi, le verbosità e ponendo, invece le persone in situazioni stressanti ma a diretto contatto con i loro conflitti personali, a confronto gli uni con gli altri è certamente pionieristico e molto efficace.

Conclusioni

Lo scopo di questo articolo non è quello di descrivere nei dettagli la teoria e la metodologia della terapica della Gestalt quanto quello di descrivere l’excursus storico, i collegamenti e la dialettica esistente tra le ricerche sperimentali degli psicologi della Gestalt e le applicazioni creative del fondatore della Gestalt.

Oggi la Terapia della Gestalt è diffusa e conosciuta in tutto il mondo. Dopo la morte del fondatore si sono tuttavia create tre differenti impostazioni di lavoro:

  • una Gestalt più cognitiva che si è diffusa soprattutto a New York e a Boston
  • una Gestalt più centrata sul lavoro emozionale diffusa soprattutto a Cleveland
  • una Gestalt emozionale-gruppale diffusa soprattutto lungo la Costa (San Francisco, Los Angeles e San Diego).

La Gestalt è molto diffusa anche in Europa, in Messico, in Sudamerica, Australia e Giappone.

La praticità e versatilità metodologiche hanno favorito la diffusione della Gestalt in svariati contesti sociali: oggi infatti si utilizza il modello gestaltico di intervento per agevolare e seguire giovani adolescenti, coppie in crisi, psicotici e malati psicosomatici, alcolisti, bulimici e anche categorie sociali non direttamente afflitte da patologie ma comunque sottoposte a stress e considerate a rischio come disoccupati, licenziati, immigrati, ex carcerati, ragazze madri appartenenti a classi abbienti e così via.

Sono attivi numerosi corsi di formazione qualificati e riconosciuti da associazioni di categoria ed enti culturali benemeriti.

Dott. Lucio Buonomo/ Psicologo-Psicoterapeuta

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