Origine della difficoltà al rilassamento e possibili rimedi

Meglio vivere al buio che rischiare guai

Sono diversi i motivi per i quali può risultare difficile lasciarsi andare e rilassarsi. Nel senso comune delle persone, il mito dominante è che nella ricerca di ciò che si cela nelle profondità della mente, nella ricerca della conoscenza più profonda, ci sia qualcosa di distruttivo e quindi pericoloso. Qualcosa con cui è meglio non entrare in confidenza. Meglio vivere al buio che rischiare guai.

Pandora

L’idea che la ricerca e finanche la conquista di se stessi nasconda pericoli e preveda prezzi da pagare, è a mio parere ben rappresentata nel mito di Pandora. Pandora, che rappresenta la natura femminina negativa della mente, è stata letteralmente costruita dagli Dei per ordine dello stesso Zeus, che intendeva punire gli uomini per aver accettato il dono di Prometeo, il fuoco.

Gli uomini illuminati dal fuoco degli Dei si sono resi simili ad essi e per questo crimine saranno puniti. Pandora è la conseguenza di questo atto esecrabile agli occhi degli Dei, compiuto dagli esseri umani ed è anche all’origine del male sulla terra.

Il suo aspetto è seducente e attiva negli uomini passioni incontrollabili. Reca con se un vaso pieno di guai che si chiamano vecchiaia, malattia e morte. Scoperchiare il vaso è sconveniente, in quanto i suoi contenuti possono infettare l’umanità.

E’ altrettanto sconveniente per gli esseri umani familiarizzare con Pandora. Meglio sarebbe rifiutare l’incontro con lei e il dono che porta con sé. Eppure, vinti dalla fascinazione, ignorando l’inganno, gli uomini non resistono, incontrano Pandora e alla fine vinti anche dalla curiosità aprono il vaso infettandosi.

Non è così che spesso ci mettiamo nei guai? Non sono forse la passione d’amore incontrollabile o il desiderio di potere insaziabile afflizioni-infezioni della mente causa di gravi sofferenze per noi e per chi ci sta intorno?

Per fortuna, l’effetto di questo disastro risulta mitigato dall’ultimo dei contenuti del vaso che è la speranza. Il mito tramandato questo soltanto ci dice. Gli uomini sono caduti nella trappola del dono avvelenato, vittime del loro attaccamento, ma possono sperare ancora di liberarsi dall’ignoranza e dalla sofferenza che essa crea.

Mitologia della speranza

Il racconto della liberazione è però inscritto in un’altra mitologia, quella della ricerca sacra. Tutta la mitologia della ricerca attivata dall’eroe è mitologia della speranza. La ricerca dell’eroe, fatta di battaglie contro pericoli reali ed immaginari e di prove da superare è fonte di speranza e allude alla possibilità di ritrovare se stessi ritrovando l’oggetto che rappresenta l’unità, un oggetto che è ovviamente nascosto nelle profondità.

Il Santo Graal: la coppa, l’oggetto una volta posseduto e poi andato perduto, preziosissimo perché contiene in sé la purezza, il sangue sgorgato dal costato di Cristo. Oppure il vello d’oro: oggetto per la cui conquista Giasone organizza la sua spedizione eroica. Entrambi garantiscono il ripristino dell’unità.

Il mezzo per cui si addiviene alla salvezza è però la ricerca stessa. In realtà, gli oggetti in sé simboleggiano la possibilità per l’uomo di affinare il suo cuore attraverso una ricerca, un cammino che ha per obiettivo la riconquista della parte più pura di sé.

Gli innumerevoli miti che ci raccontano le gesta di antichi eroi sempre alla ricerca di tesori tanto più preziosi quanto più nascosti nelle profondità e tanto più difesi tenacemente da draghi, orchi, minotauri ed altri animali mitologici, ci raccontano che è possibile ed è destino di coloro che affrontano i mostri interni, purificare il proprio cuore e giungere infine alla liberazione dalle catene dell’attaccamento.

Insomma, la ricerca di sé stessi è pericolosa, poiché rischia di mobilizzare i demoni dell’illusione ed anche la semplice allusione ad una profondità della mente evoca immagini di pericoli difficilmente controllabili. Tuttavia è anche pervasa di aspettative di salvezza irrinunciabili per chi la intraprende.

Le immagini del fuoco sacro, del tes-oro (contiene in sé la parola oro), della fonte benedetta dell’eterna giovinezza, allusioni ad un livello della coscienza che è origine di tutte le cose e dunque anche del potere di guarigione, di ringiovanimento o di immortalità dell’uomo, di tutti gli uomini, esercitano il loro fascino stabilmente dentro di noi.

La tensione che nasce dalla presenza di queste immagini è così potente che eluderla spesso significa abdicare alla possibilità di dimorare nella piena vitalità, nella piena ed autentica soddisfazione di esistere. Con Heidegger potremmo dire: l’uomo separato, diviso dalla sua natura spirituale si ammala. La riconquista dell’unità lo guarisce.

Difficoltà della ricerca

L’idea che esista un luogo all’interno di ciascuno che è fonte di verità e di benessere totale ci spinge dunque alla ricerca, che però avvertiamo oscuramente come difficile, impegnativa e finanche pericolosa. Da queste cause interne origina la nostra avversione al nuovo o la nostra ambivalenza.

Vorremmo lasciar perdere, eppure siamo spinti a ricercare. Quanti poi superano la loro ostilità e si spingono effettivamente alla ricerca, spesso, all’inizio, manifestano la loro avversione in forme difensive, condensate in pensieri che sottintendono credenze limitanti espresse in svariati modi.

Alcuni semplicemente non si autorizzano a rilassarsi perché etichettano il tutto come oziare e si rimproverano di sottrarre tempo ad attività produttive o alla famiglia. Altri temono di perdere il controllo. Temono che dalla loro mente possano venir fuori, come dal famoso vaso di Pandora, episodi dolorosi del passato o emozioni distruttive come rabbia, invidia, gelosia, odio, paura, lussuria sfrenata e possano prendere il sopravvento e causare grandi sofferenze.

Alcuni diffidano o odiano troppo il loro corpo per avvicinarvisi più di tanto. Oppure temono che rilassandosi perderanno la loro aggressività e si ritroveranno quindi in balia di persone più aggressive e competitive nei loro confronti. Altri dubitano fortemente di ottenere dei risultati oppure temono di essere semplicemente troppo impazienti per provare; qualcuno infine si decide alla ricerca a causa di un momento difficile che sta attraversando: il cammino, in questo caso, è ancora più caricato di aspettative e quindi più duro da percorrere.

Affinché l’opera possa avere inizio

Per tutti questi motivi, e per altri ancora, è necessario comprendere che il lavoro su se stessi, se si intendono conseguire determinati risultati, non può essere discontinuo. Soprattutto va curato con amore ed interesse, facendo fede su alcune disposizioni interne che sono anche le condizioni affinché l’opera possa avere inizio:

  • Innanzitutto la fiducia

Avere fiducia nelle potenzialità e nelle possibilità di trasformazione della propria mente è essenziale per poter iniziare a lavorare con se stessi per attivare un cambiamento positivo.

  • Poi la pazienza

Pazienza di sedersi ogni giorno sulla propria seggiola, nella solita posizione, per qualche minuto. Pazienza di aspettare che il seme piantato nella mente possa mettere radici e trasformarsi. Pazienza di vederlo crescere senza pretendere che la trasformazione possa avvenire da un giorno all’altro, anzi senza neanche aspettarsi un eventuale risultato.

  • Poi capacità di accettazione

Capacità di accettare i pensieri disturbanti che di volta in volta emergono dalla coscienza condizionata, gli eventuali fastidi fisici, le tensioni di cui non riusciamo immediatamente a liberarci, le emozioni che consideriamo negative.

  • Poi il rispetto

Saper proteggere adeguatamente il proprio lavoro, predisponendo tutte le condizioni esterne e interne per operare nel migliore dei modi.

  • Poi il coraggio

Il coraggio di spingersi e osservare anche ciò che si estende oltre le colonne d’Ercole. Il coraggio di perseverare anche quando tutto sembra bloccato, quando ci si muove nelle nebbie ed ogni impegno sembra improduttivo e inutile.

Tra le condizioni esterne che favoriscono il lavoro abbiamo:

  • Il luogo

Possibilmente, quando impariamo, il luogo deve essere tranquillo e sempre lo stesso.

  • Il tempo da impiegare per ogni esercizio

Inizialmente, l’apprendimento graduale prevede brevi sezioni di lavoro. Starsene per un ora a lottare contro la sonnolenza e la posizione è controproducente. Meglio lasciarsi andare per una diecina di minuti oppure al massimo per venti minuti. L’ora di esercitazione è preferibile che sia sempre la stessa. Possibilmente lontano dai pasti, evitando anche le ore in tarda serata.

  • La riservatezza

Evitate le interferenze. Quando vi dedicate dieci minuti, che siano protetti al massimo. Staccate i telefoni e assicuratevi che per il tempo che vi serve non sarete disturbati da nessuno.

  • Le ripetizioni

Gli esercizi, brevi, vanno eseguiti quotidianamente e anche ripetuti almeno una volta durante la giornata.

  • Il rinforzo positivo

Ricordate che non state partecipando ad una gara. Tutto quello che state facendo è già il meglio che potete fare per voi. In sostanza, lo state già facendo perfettamente, per cui alla fine dell’esercizio non possono esserci critiche o recriminazioni. Convincetevi che va tutto bene, tutto è OK!

 Dott. Lucio Buonomo/ Psicologo-Psicoterapeuta

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